MAROCCO
2001
di Daniele Chiasserini
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Premessa
Quando
non si è viaggiatori per professione ma solo per profonda passione, diventa
indispensabile contemperare la sete di nuovi spazi e d’avventura con le
esigenze imposte dal quotidiano. Spesso la gabbia dei doveri serra con troppa
crudeltà le ali dello spirito, ma tant’è… fino alla costruzione di una
società migliore di questa, gli elementi indispensabili per incendiare la
benzina del nostro entusiasmo continueranno a essere il tempo e il denaro. E per
chi è costretto a lavorare per procurarsi il secondo, il primo resterà sempre
un bene prezioso e limitato.Avevamo
pianificato il viaggio da mesi, pensando di poter contare sulle canoniche tre
settimane di ferie, da prendere magari all’inizio dell’autunno (a detta di
tutti il periodo più adatto per visitare il Marocco in moto), poi una serie di
vicissitudini hanno fatto sì che potessimo partire solamente a cavallo di
ferragosto e, soprattutto, solo per due settimane. La cosa più logica sarebbe
stata, probabilmente, quella di cambiare meta ma ormai il nostro immaginario
aveva galoppato troppo a lungo su e giù per le montagne dell’Atlante e lungo
le piste sabbiose del deserto e i vicoli tortuosi delle medine delle città
imperiali, per poter sostituire a quelli altri fondali. Abbiamo ridisegnato
sulla carta la lunga linea spezzata che ci avrebbe guidato alla scoperta di
questa nazione sintesi di tanti diversi paesaggi, sacrificando qualche località
“marginale”, riducendo al minimo le permanenze nelle diverse città,
allungando al massimo le tappe del lungo trasferimento fino allo stretto di
Gibilterra. Abbiamo messo in preventivo di “bruciare” in sole quattro
giornate i 5200 km di autostrada che riempiono di noia la tratta Roma -
Algeciras - Roma. Ci restavano, aggiungendoci il w-e che precedeva l'inizio
delle ferie "ufficiali", 12 gg effettivi da spendere in Marocco. Non
moltissimi ma…
Ven
10: Roma - Savona (km 600)
Partiamo
direttamente all’uscita dall’ufficio, per tirare via qualche centinaio di
chilometri dal fardello d’autostrada che c’è riservato nei due giorni a
venire. Appena il tempo di passare da casa, caricare sulla moto il bagaglio già
preparato dalla sera prima e siamo in viaggio. Ci liberiamo a fatica dal
soffocante abbraccio metropolitano di Roma. L’aria è rovente e satura di smog
e di umidità. Ci chiediamo con un po’ di preoccupazione quale temperature ci
aspettano nei prossimi giorni, nel profondo sud del Marocco. L’Aurelia ci
accompagna per un paio d’ore, consueta e familiare, offrendoci paesaggi visti
mille volte, mentre sorpassiamo una dopo l’altra le station wagon dei
vacanzieri diretti verso le diverse località di villeggiatura.Sulla Livorno -
Genova il traffico è finalmente più scorrevole. Possiamo tirare un po’, con
l’obiettivo di arrivare in serata in prossimità del confine con la Francia o
addirittura di riuscire a montare la tenda in una delle attrezzatissime aree di
sosta francesi (durante i trasferimenti è la maniera di pernottare più pratica
ed economica, oltre che quella che consente di perdere meno tempo nelle
operazioni di carico / scarico della moto).Attraversiamo Genova che sta facendo
buio, sopra le assurde rampe di un’autostrada - tangenziale che sorvola il
centro abitato come l’ottovolante di un gigantesco luna park. Guardiamo
accendersi le luci fioche del suo porto per la seconda volta in meno di un mese,
anche questa volta da lontano. Il nostro pensiero corre allo scenario di
devastazione e di sangue con il quale Genova ci accolse solo poche settimane fa.
Ricordi indelebili che nelle nostre menti legheranno per sempre questa città
alle sensazioni dell’inquietudine e dell’indignazione. Ci chiediamo se un
giorno riusciremo a visitarla davvero, penetrando con occhi da turisti nei
recessi inviolabili della sua Zonarossa.Nei pressi di Savona ci sorprende la
pioggia. Ci rifugiamo nel primo Motel, con la speranza di una migliore fortuna
per l’indomani.
Sab
11: Savona - Amposta (km 1000)
Guidiamo
tutto il giorno lungo autostrade intasate da un traffico senza tregua. Ogni
tanto la lunga processione di auto si congestiona in interminabili ingorghi di
lamiere infuocate sotto il sole rovente. Ringraziamo ancora una volta l’agilità
offerta dal nostro mezzo mentre ci lasciamo alle spalle decine di chilometri
slalomando tra le macchine ferme oppure percorrendo con cautela la corsia
d’emergenza. Cominciamo a notare come ai mezzi dei vacanzieri europei si
mescolino con frequenza sempre maggiore quelli dei marocchini che rientrano in
patria per le ferie: vecchi furgoni e giardinette con targhe italiane, francesi,
tedesche, cariche all’inverosimile di merci d’ogni tipo: le briciole del
benessere del ricco occidente, che gli emigranti riportano casa, per
condividerle coi parenti rimasti in Africa. Al
tramonto siamo riusciti, nonostante tutto, a percorrere un migliaio di
chilometri: più o meno quanti ce ne aspettano per l’indomani. Usciamo
dall’autostrada e andiamo a dormire in un campeggio sulla costa, nei pressi di
Amposta, col culo rosso e la schiena indolenzita.
Dom
12: Amposta – Algeciras (km 1000)
In
Spagna la situazione traffico è notevolmente migliorata. Sul filo dei
centosessanta ci lasciamo rapidamente alle spalle paesaggi tipo far west, brulle
montagne e aride distese che sanno già d’Africa.
Arriviamo ad Algeciras al tramonto. Giusto il tempo di trovare una pensione nei
pressi del porto e di mangiare un boccone in una taverna sotto i portici del
viale che fronteggia il molo, in un’atmosfera multietnica che fa tanto posto
di confine.
Lun
13: Algeciras – (traghetto) – Tangeri – Fes (km 350):
Due ore e mezza di
traghetto (che le due ore regalate dal fuso trasformano in mezz’ora appena) e
sbarchiamo in Marocco. Avendo potuto effettuare a bordo la maggior parte delle
operazioni doganali, in breve riusciamo a lasciare il porto, immergendoci nel
traffico caotico di Tangeri.
L’impatto con
l’Africa sono i suoi odori potenti, l’intrico disordinato di persone e
attività. Ci lasciamo rapidamente alle spalle la periferia di Tangeri, i cumuli
d’immondizia che macerano sotto un sole impietoso. Puntiamo verso Fes, prima
vera tappa del viaggio, lungo una strada monocorsia, poco più di una striscia
d’asfalto che si arrampica su un mondo fatto di grano. Ragazzini cenciosi
custodiscono capre e asini che brucano tra le stoppie di grano; le case sono
costruite con la paglia impastata con chissà quale tipo di collante; gli
animali arano i campi di grano; le donne usano la farina di grano per le loro
focacce e poi, tornate nelle loro case di paglia, fanno bambini da mandare nel
grano…
Arriviamo a Fes
quando il sedere chiede pietà e, seguendo indicazioni vaghe e contraddittorie
per il centro, finiamo invece in una medina periferica, assolutamente al fuori
da qualsiasi itinerario turistico. In giro, infatti, non vediamo neppure un viso
europeo. Siamo circondati da una folla di persone sciamanti che vendono,
comprano, bevono tè alla menta, tutto in maniera frenetica e corale. Noi e la
nostra moto sembriamo davvero precipitati da un altro pianeta e veniamo
bersagliati da decine di occhiate stupite, curiose, a volte – ma forse è solo
una nostra impressione – perfino torve. Proviamo a chiedere indicazioni ma
nessuno sembra in grado di comprendere il nostro linguaggio. L’odore degli
spiedini di carne che arrostiscono sui bracieri dei venditori ambulanti
contribuisce a farci girare la testa.
Veniamo fuori dall’intrico di strade e vicoli solo chiedendo al conducente di
un “petit taxi” di guidarci fino a una pensione che abbiamo scelto nella
guida fra quelle “economiche” e che si trova all’ingresso dell’antica
medina, il quartiere nel quale si concentrano le maggiori attrazioni di Fes.
Mar
14 / Mer 15: Fes
Sveglia
alle 6 perché il grido stridulo del Muezzin, rimbalzato per tutta la città da
gracchianti altoparlanti, ci ricordano che è ora di alzarsi. La levataccia, se
non altro, ci consente di usare per primi i sudici bagni comuni, che nelle ore a
venire verranno presi d’assalto dalle decine di routard marocchini ed europei
che affollano la terrazza e i corridoi della pensione, avvolti nei sacchi a
pelo.
Dopo una veloce
colazione partiamo alla scoperta della città lungo le intricate strade della
medina, ricavandone immediatamente vivide impressioni. Tutto sembra una potenza
dei nostri stereotipi: i bambini lo sono al quadrato perché sembrano più
piccoli e indifesi; i vecchi anche, più malati e sofferenti; perfino gli
animali sembrano più bestie che altrove. Una sola costante: tutti hanno fame.
Dalla “Grande Rue”, una strada non più larga di tre metri che fa da spina
dorsale alla medina, si dipartono i vicoli bui dei diversi souck (mercati
“monotematici”, dedicati alle diverse forme di artigianato), tanto intricati
che nessuno è mai stato in grado, sembra, di disegnare una mappa della zona.
Tutto è molto stretto e angusto. Le botteghe, le moschee, perfino i monumenti
sembrano ingoiati dalla città e per trovarli è sempre necessaria
l’indicazione di qualche ragazzino locale. Questi, d’altra parte, sono
dappertutto: sporchi e frettolosi trasportano le merci più svariate da un
vicolo all’altro oppure ti assillano offrendosi come guide o chiedendo denaro
o regali.
Il secondo giorno
scopriamo che una delle maniere più interessanti di visitare questa specie di
gigantesco labirinto è quella di vagare senza meta per suoi meandri, lasciando
che sia il caso a farci imbattere nei suoi tesori nascosti, negli scorci più
suggestivi e caratteristici. Visitiamo l’antica Medersa, una sorta di
Università degli studi coranici. Non possiamo invece accedere alle Moschee: qui
in Marocco sono vietate ai non mussulmani.
Di souck in souck
arriviamo a quello dei tintori. In cambio di pochi dirham veniamo guidati fino a
una terrazza che permette di dominare da una posizione favorevole uno spettacolo
che non dimenticheremo. Le concerie sono vasche d’acqua colorata nelle quali
quelli che ci sembrano i dannati di un girone dantesco lavano, rimestano,
spostano pelli di pecora precedentemente essiccate al sole. L’odore di
cadavere è nauseante, ci mette un attimo a serrarti la gola e inevitabile
arriva il conato di vomito. L’attività comunque deve produrre un bel giro
d’affari, a giudicare dal traffico frenetico di muli, persone, pacchi e
turisti.
Gio
16: Fes - Merzouga (500 km)
Di
nuovo in piedi alle 6. Scavalchiamo il tappeto di ragazzotti collassati
dall’hascisc che ingombra il corridoio della pensione, facendo attenzione a
non calpestare gambe, mani, chitarre. Recuperiamo la moto dal garage dove ha
riposato questi due giorni e partiamo. L’acqua scrosciata dai lampi di ieri
notte (il primo temporale a Fes dall’inizio dell’anno, pare) ha ripulito un
po’ l’aria e attenuato l’odore di piscio e di immondizia che invadeva le
strade intorno alla nostra pensione (o forse siamo noi ad esserci abituati…).
Partiamo dunque col
fresco ma più procediamo verso sud più la temperatura aumenta. La metamorfosi
del paesaggio, parimenti, è rapidissima. All’inizio attraversiamo colline
ricoperte da piccole foreste. Poi ci sono ore di altipiani infiniti, stepposi e
battuti da un vento fortissimo e infuocato che ci fa quasi sbandare e ci toglie
il respiro, seccando le nostre mucose. Acquistiamo di nuovo quota lungo i mille
tornanti che si arrampicano sul fianco di montagne brulle e rocciose. Scivoliamo
infine a valle, in un paesaggio che ormai ricorda da vicino il deserto. A Er
Rachidia ci fermiamo a mangiare e a riposarci qualche ora, attendendo che
passino le ore torride del primo
pomeriggio.
Alle cinque del
pomeriggio siamo a Erfoud, dove avevamo programmato di pernottare, per
raggiungere le dune di Merzouga la mattina successiva. Siamo in notevole
anticipo sulla tabella di marcia e così, considerato che Erfoud ci appare
squallidina e poco caratteristica, attingiamo alla nostra riserva di energie e
ci rimettiamo in viaggio.
Già nel tratto di strada che costeggia le Gole dello Ziz avevamo ricevuto
divertenti proposte dalle guide locali per percorrere i 40 km di pista che
separano Erfoud da Merzouga: ci date i bagagli e vi
seguiamo con la Land Rover; lasciate la moto a Erfoud e vi portiamo a
Merzouga con la Land Rover; Carla + bagagli sulla Land Rover e Daniele in moto;
portiamo noi la moto con la Land Rover… il tutto condito da minacce e funesti
presagi: la pista è terribile, l’orientamento è difficilissimo, non ce la
farete mai da soli… Imperterriti li avevamo allontanati, decisi ad arrivare
con le nostre forze. E così faremo.
La pista si rivela
tutto sommato facile: il fondo per lo più è compatto e l’unica difficoltà
è rappresentata dalle lingue di sabbia che ogni tanto invadono la carreggiata,
costringendo a veri esercizi di equilibrismo per mantenere in piedi la moto
(soprattutto viaggiando a pieno carico e con delle gomme praticamente stradali).
Un vero problema, invece, sono le fastidiosissime guide locali che percorrono la
pista su degli scassati motorini Peugeot e che agganciano tutti quelli che
stanno viaggiando “in autonomia”, tormentandoli con offerte di ogni tipo.
Quando, dopo infinite insistenze, si rendono conto che non vuoi farti guidare, né
portare nella pensione del compare, né nel ristorante dello zio, continuano
ancora a seguirti per un bel pezzo, ripetendoti l’odioso tormentone che le
parabole devono aver diffuso anche in questo sperduto angolo di mondo:
“turisti fai da te? No alpitour? Ahiahiahiahi….”.
Arriviamo a Merzouga
al tramonto, stanchi all’inverosimile ma attoniti di fronte allo spettacolo
delle dune gigantesche che fronteggiano il villaggio. Tutt’intorno si estende
una landa vasta, nera e pietrosa, solcata da piste più o meno percorribili.
L’aria è ancora rovente e la mancanza di luci e di suoni sembra riscaldarla
ancora di più.
Troviamo un piccolo hotel proprio sotto le dune con camere minuscole e bollenti.
I proprietari - di origine berbera, come amano sottolineare con orgoglio - sono
gentilissimi, di una gentilezza pacata che sembra quasi la logica conseguenza
del paesaggio che ci circonda. Ci preparano la cena poi restano a chiacchierare
con noi sotto le stelle, sorseggiando l’immancabile tè alla menta.
Ven
17: Merzouga – Tinerhir (250 km)
Sempre
più presto: sveglia alle 4, per vedere l’alba sulle dune (e perché tanto
dormire con questa temperatura è pressochè impossibile). L’aria è già
caldissima, la breve notte non ha consentito al terreno di cedere il calore
accumulato durante il giorno. Alle cinque del mattino abbiamo già bevuto un
litro d’acqua ciascuno…
Rifacciamo la pista
verso Erfoud, questa volta senza l’assillo delle guide moleste. Vediamo le
dune allontanarsi all’orizzonte, sempre più piccole, fino ad appiattirsi
sulla sconfinata pianura che ci circonda.
La strada da Erfoud a Tinerhir è una lingua d’asfalto rovente che corre
parallela a una vecchia pista, attraversando un deserto di terra rossa coperta
da pietre scure, battuto dall’immancabile vento “effetto phon” e dai
pastori berberi con le loro greggi o con mandrie di dromedari (o cammelli?).
Arriviamo a Tinerhir
nel tardo pomeriggio e, trovato un albergo, usciamo a fare una passeggiata. Come
al solito veniamo avvicinati da personaggi del luogo (questa volta però sono
simpatici) che, con la scusa di mostrarci le bellezze della città, cercano alla
fine di accompagnarci a casa di un venditore di tappeti. Ci defiliamo e
riusciamo a visitare la kasbah berbera, che sorge proprio di fronte alla medina
locale, accanto all’oasi verdeggiante che ha reso possibile lo sviluppo di
questo piccolo insediamento urbano. Ci perdiamo in un intrico di vicoli tutti
uguali, senza pavimentazione, sui quali si affacciano case di paglia e fango
appoggiate direttamente sulla terra battuta.
Sab
18: Tinerhir – Gole del Todra – Gole del Dades - Ait Bennadouh (250 km)
Lasciamo
Tinerhir alla volta delle gole del Todra, che raggiungiamo dopo aver costeggiato
una lunghissima oasi verde smeraldo, sbucata all’improvviso, come un miracolo
di vita nel paesaggio mortuario delle montagne arse dal sole e dal vento.
Le gole sono formate da speroni rocciosi altissimi. Vedere scorrere al loro
interno l’acqua cristallina di un torrente rappresenta, in questo contesto,
una sorpresa magnifica.
Ancora di più ci colpiscono le gole del Dades, che incontriamo poco più avanti
e che è possibile risalire per una ventina di km lungo una strada tortuosa che
ogni tornante rivela a una nuova meraviglia.
La sera arriviamo ad Ait Bennadouh, villaggio semideserto e surreale, la cui
sola illuminazione sembrano essere i milioni si stelle che punteggiano un cielo
nero come la pece.
Dom
19: Ait Benaddouh – “Valle delle Meraviglie” – Ait Bennaddouh –
Marrakech (350 km)
Decidiamo
di dedicare la mattinata a un’escursione lungo una pista che attraversa quella
che, in alcuni resoconti di viaggi letti prima di partire, viene chiamata la
“Valle delle meraviglie”. Lasciamo quindi il bagaglio in albergo e, con la
moto finalmente scarica, partiamo alla volta di Telouet. Dopo pochi km
l’asfalto termina e la strada si trasforma in una pista sconnessa, dal fondo
duro e pietroso, che si arrampica zigzagando su montagne altissime, costeggia
meravigliose vallate verdeggianti, attraversa villaggi ameni, lontani anni luce,
si direbbe, da qualsiasi forma di globalizzazione. Affrontiamo salite
ripidissime e discese vertiginose. A ogni curva c’è una sorpresa: un
ruscello, una cima altissima, l’incontro con un locale che percorre la
mulattiera a dorso d’asino. L’incanto dura una quarantina di km, che
percorriamo in un paio d’ore, soste per le foto comprese. Arrivati a Telouet
la pista finisce. Imbocchiamo la veloce statale e torniamo a Ait Benaddouh su
asfalto.
Il tempo di mangiare
un boccone, caricare i bagagli e siamo di nuovo in viaggio. Destinazione:
Marrakech. Purtroppo dobbiamo prima tornare indietro di una ventina di km, fino
a Ouarzazate, perché siamo quasi in riserva e nel primo tratto della statale,
come abbiamo constatato poco prima, percorrendola in direzione di Ait Benaddouh,
i distributori sono sprovvisti di benzina verde.
Arriviamo a
Marrakech in serata, dopo aver sorpassato il passo di Tizi-n-tichka (oltre 2000
metri di altezza, temperatura che improvvisamente scende di almeno venti gradi).
L’approccio con la città è drammatico: siamo in pieno agosto e per di più
è sabato, quindi non si trova una camera libera. Iniziamo la via crucis degli
hotel ma dappertutto la risposta è uno scoraggiante “complet”. Ci
allontaniamo dal centro, sperando che la situazione migliori ma non è così. In
questo affannoso migrare incontriamo altri disperati che mendicano una stanza
ormai da diverse ore. Veniamo anche avvicinati da loschi individui che ci
propongono sistemazioni in case di privati a prezzi esorbitanti. Li
allontaniamo, ci ispirano troppa poca fiducia. Intanto si sono fatte le undici,
siamo in moto ormai da quattordici ore e le nostre energie sono alla fine. Non
abbiamo neppure cenato e siamo assolutamente scoraggiati. Vaghiamo per una
Marrakech marginale, non troppo differente da una periferia parigina o milanese,
disseminata di insegne di Mc Donald’s e Manpower. Poi un tassista ci salva,
indicandoci un albergo fuori mano che forse ha una stanza libera. Si tratta di
un quattro stelle di stile europeo, popolato di italiani in viaggio organizzato.
Ci concedono (per una sola notte, però, perché dall’indomani la stanza è
prenotata) una tripla che ci viene a costare il quadruplo di quanto abbiamo
speso fin ora (circa centomila lire, un prezzo quasi europeo). Accettiamo senza
protestare. Trasciniamo il nostro bagaglio nell’ascensore automatico che ci
ricorda quello dell’ufficio dove lavoriamo. A letto senza cena.
Lun
20 – Mar 21: Marrakech
Sveglia
di buon ora, con l’assillo di dover trovare una nuova sistemazione.
C’inoltriamo nella medina a caccia di una pensione. Colpo di fortuna: ne
troviamo immediatamente una deliziosa, a un prezzo più che ragionevole. A due
passi c’è anche un garage per la moto. Tutto torna a girare per il verso
giusto. L’angoscia e la stanchezza di ieri sera sono solo un ricordo. Possiamo
tornare a recuperare il bagaglio dall’odioso quattrostelle di periferia,
sistemaci nel cuore pulsante di questa città, a due passi dalla piazza di Jema
El Fna.
Dopo averci passato
due giorni, io e Carla concordiamo su una considerazione: Jema El Fna è
Marrakech e Marrakech è Jema El Fna. Tutto il resto è roba di poco conto. La
medina per esempio, ricostruita in tempi recenti, è piuttosto turistica,
nemmeno paragonabile a quella di Fes, cento volte più caratteristica e genuina.
Jema El Fna, invece,
enorme e popolata di saltimbanchi, venditori ambulanti e perditempo, spazio
d’aggregazione e luogo d’incontro delle popolazioni berbere e degli abitanti
delle montagne che circondano Marrakech, è un luogo davvero unico. Un miscuglio
irripetibile di colori, odori e linguaggi. La sera, quando si accendono le luci
dei venditori e i chioschi che arrostiscono carne, pesce e verdure sono in piena
attività, la piazza viene avvolta da una coltre di fumo simile a nebbia, che
crea intorno alle persone e alle loro attività un’atmosfera magica. Dalla
terrazza di uno dei caffè antistanti, sorseggiando un tè alla menta, si può
godere di uno spettacolo affascinante e surreale.
Mer
22: Marrakech – Essaouira (km 200)
Con la sensazione che
il viaggio stia già volgendo al termine, scivoliamo fino alla costa atlantica.
Una coppia di motociclisti incontrati nei giorni scorsi ci avevano descritto
Essaouira come un delizioso villaggio di pescatori. La nostra impressione,
invece, è quella di un insediamento turistico senza nulla di particolare,
affollato di famiglie di marocchini in vacanza e fronteggiato da un mare gelido
e piuttosto torbido. Ci colpisce solo il piccolo porto, dove la sera rientrano i
pescherecci e dove vengono allestite le bancarelle che arrostiscono e vendono il
pesce, assediate da stormi di voraci gabbiani.
Qui sulla costa la
sera il clima si rivela inaspettatamente fresco. Dover indossare la felpa, dopo
giornate di caldo soffocante è un autentico sollievo.
Gio
23: Essaouira – Tangeri – (traghetto) – Algeciras – Gibilterra (km 750)
Avevamo pianificato
di rimanere un giorno a Essaouira ma ci sembra non ne valga la pena. Partiamo
per Tangeri, con l’idea di utilizzare il giorno recuperato per fare una sosta
in Spagna, spezzando così la noia e la stanchezza del lungo trasferimento.
Arriviamo a Tangeri in tempo per il traghetto delle 18, dopo una sgroppata su
un’autostrada battuta da un vento fortissimo che ci ha costretto a percorrere
decine di km con la moto inclinata di buoni 30 gradi…
Alla dogana dobbiamo
difenderci dall’ennesimo tentativo di spillarci soldi (l’atteggiamento
rapace nei confronti dei turisti rappresenta l’unico aspetto sgradevole che
talvolta abbiamo riscontrato nei rapporti con la popolazione locale) da parte di
un individuo che si spaccia come un funzionario “non ufficiale” della
dogana. Non avendo ceduto alla sua richiesta di denaro, veniamo costretti a una
lunga fila per il visto sui passaporti, mentre i documenti di quelli che hanno
pagato la “mazzetta” vengono sfacciatamente fatti passare da una porta sul
retro dell’ufficio e immediatamente timbrati dall’addetto.
Le due ore e mezzo
di traghetto ci servono per recuperare un po’ di energie. Carla dorme, con la
testa appoggiata alle mie ginocchia. Io approfitto di quest’attimo di quiete
per cominciare a mettere ordine nei ricordi e nelle sensazioni accumulati in
queste giornate frenetiche e piene di fatica, colori, odori e chilometri.
Gli odori,
soprattutto. Quell’aroma di Africa che ci colpì come una sferzata
all’arrivo e che ora non sentiamo più, perché ormai ce l’abbiamo addosso.
Ce lo stiamo portando via. A casa.
Che altro stiamo
portando via? Quali delle tante cose che abbiamo avuto appena il tempo di
accarezzare, sfiorare, assaggiare appena - come quando al ristorante si ordina
un tris di primi, invece di un piatto unico, per la curiosità di provare un
po’ di tutto - avrà il posto d’onore nel mosaico di sensazioni che si sta
già componendo nei nostri ricordi?
Volendo
schematizzare, le “pietanze” del nostro tris sono state: il deserto, le città
imperiali, le oasi del sud. Ognuna ha rappresentato un momento importante e
suggestivo.
Il deserto, che
avevo già incontrato un paio d’anni fa, in Tunisia, è sempre il deserto:
immenso, pacifico, inquietante.
Fes e Marrakech sono state una scoperta sconcertante ed affascinante nello
stesso tempo. Sconcerto per la miseria nera che sembra trasudare dalle pareti
delle catapecchie fatiscenti, fuoriuscire insieme al putridume dai chiusini
delle fogne. Miseria nera negli occhi scavati, nei corpi sfatti, nei denti marci
dei tantissimi mendicanti che divorano e chiedono, chiedono e divorano senza
posa. Miseria nera nei gironi infernali dei souk più poveri, ricettacolo di
un’umanità immonda, disperata, prigioni dove si spegne l’infanzia di
centinaia di bambini lavoratori. Eppure spesso il nostro sguardo ha indugiato
quasi con compiacimento sui particolari più sordidi di questa miserabile
rappresentazione. Un magnetismo invincibile avvolgeva lo spettacolo che si
srotolava di fronte ai nostri occhi di occidentali, abituati a percorrere strade
pulite, ambienti ordinati, una vita fatta di “giusti” doveri e
“adeguate” ricompense…
Le oasi, le gole
verdi e profumate percorse da limpidi torrenti: sembrano pezzi di paradiso
piovuti dal cielo. Sono la rivincita della bellezza sull’arido infinito del
deserto. E che esperienza esaltante percorrere quella pista pietrosa con lo
sguardo rapito da una sequenza mozzafiato, col Giesse che, privo dei bagagli,
era diventato un’agile gazzella e Carla che mi stringeva forte da dietro e mi
regalava la sua gioia, il suo stupore, le sue acute osservazioni… ecco, se
dovessi scegliere una pietanza sola… cameriere, mi porti pure questa!
Il fuso orario gioca
a nostro sfavore, questa volta. Sbarchiamo in Spagna che è quasi l’una di
notte. Ancora in moto, per un ultimo sforzo. Montiamo la tenda su una splendida
spiaggia nei pressi di Gibilterra per qualche ora di meritato riposo.
Ven
24: Gibilterra – Barcellona (km 1250)
Ci sveglia la polizia
alle sette del mattino, cazziandoci bonariamente perchè il campeggio libero è
vietato. Approfittiamo dell’alzataccia per partire col fresco.
C’incolonniamo in autostrada nel flusso compatto del rientro dalle ferie.
Sono quattordici ore scandite dalle soste: 200 km, sosta: caffè; 200 km, sosta:
caffè e pipì; 200 km, sosta: panino…
Arriviamo a Bacellona alle dieci di sera, esausti. Troviamo un campeggio sul
lungomare, montiamo la tenda, crolliamo in un sonno simile a uno svenimento.
Sab
25: Barcellona
Dovrebbe essere una giornata
di relax ma come resistere alla voglia di esplorare, almeno superficialmente,
questa città sconosciuta a entrambe? In una giornata intensa riusciamo a
visitare la Sagrata Familia, stupendoci per la sua surreale architettura, a
passeggiare sulle Ramblas, a gustare l’immancabile paella… Magnifica città,
Barcellona. Ci torneremo.
Sab
25: Barcellona – Saturnia (km 1300)
Ancora
una giornata a tutto gas. Obiettivo: fare più strada possibile.
Non va male, tutto sommato: a mezzanotte siamo praticamente a due passi da
casa… Usciamo dall’Aurelia e montiamo la tenda proprio davanti alle terme di
Saturnia. Un bagno caldo, dopo 1300 km di moto, è un’orgasmo di piacere
indescrivibile. Cancelliamo definitivamente il nostro odore d’Africa in quello
sulfureo delle acque termali.
Dom
26: Saturnia – Roma (km 150)
I centocinquanta km
che ci separano da Roma sono uno scherzo, ormai.
All’ora di pranzo
siamo casa. Abbiamo l’intero pomeriggio per disfare le valige, caricare
qualche lavatrice, dormire qualche ora, prepararci mentalmente ad andare in
ufficio, domattina…
APPENDICE
Documenti
necessari:
-
Passaporto
-
Patente
internazionale
-
Carta
verde
Costi:
Trasferimento
Roma – Algeciras – Roma:
benzina:
circa 350 litri di benzina per 5200 Km fatti di buon passo
autostrada:
in Francia è più cara che in Italia (ma in compenso la tariffa è
differenziata tra auto e moto, quindi in definitiva si paga meno); in Spagna i
prezzi sono allineati ai nostri (da Alicante in poi l’autostrada è gratis)
Traghetto
Algeciras – Tangeri – Algeciras:
250
mila lire per due persone + la moto (A/R)
Soggiorno
in Marocco:
100
mila lire al giorno sono sufficienti per la benzina (media di 250 km al giorno),
i pasti (ristorantini, cucina locale) e il pernotto (camera doppia in pensioni
economiche e non classificate, disponendo del necessario spirito
d’adattamento…)
Valuta:
A
causa della difficoltà di usare le carte di credito come mezzo di pagamento,
abbiamo portato l’intero budget per il Marocco in contanti, provvedendo a
cambiarlo in Dirham alla frontiera. Poi, per minimizzare i rischi, ci siamo
divisi il “bottino”…
Nel trasferimento
attraverso Francia e Spagna abbiamo invece pagato tutto (autostrada, benzina,
cibo, pernotti) con le carte di credito. Ciò ci ha consentito di non prelevare
valuta locale, risparmiando tempo e il costo delle commissioni.
La
moto:
La
R1150 GS si è rivelata, come al solito, un’ottima compagna di viaggio:
comoda, veloce e con un’eccezionale comportamento dinamico anche a pieno
carico. Ci ha concesso medie di tutto rispetto nel lungo trasferimento
autostradale e si è dimostrata agile e divertente nelle più impervie strade di
montagna. Con qualche precauzione abbiamo perfino affrontato un paio di piste
fuoristrada senza grossi patemi d’animo.
Prima di partire ho montato i tubi paramotore (quelli originali BMW), che, per
quanto antiestetici, consentono di eliminare quello che a mio giudizio
rappresenta l’unico punto debole, sotto il profilo della robustezza, di questa
moto: la possibilità che in una banale scivolata si spacchi il coperchio della
testata.
La leggendaria affidabilità dei boxer BMW è stata confermata: 8000 km
senza stringere un dado né rabboccare un goccio d’olio (alla partenza il
livello era al max, all’arrivo a metà circa…).
Il
fuoristrada:
Prima
della partenza avevo considerato la possibilità di montare dei pneumatici
tassellati ma avevo rinunciato considerando che, a causa dei 2600 km di
autostrada da percorrere a pieno carico, saremmo arrivati in Marocco con le
gomme massacrate. Certo è che le Metzler Tourance, ottime per grip su asfalto e
per durata, sulla sabbia sono assolutamente nulle. Un po’ di aderenza in più
si potrebbe forse ottenere diminuendo un po’ la pressione dei pneumatici… io
francamente non ho provato.
Un
altro limite è rappresentato dal considerevole peso: provate ad aggiungere ai
duecentocinquanta kg della moto i bagagli, il pieno di benzina e la (pur
leggera) passeggera e vi troverete tra le mani un arnese davvero difficile da
gestire off road. L’approccio con la sabbia è stato scoraggiante, sulle
prime… poi ho provato a scaricare il bagaglio e mi è sembrato di avere di
nuovo tra le mani la mia vecchia XR… Senza esagerare, diciamo che la
situazione è migliorata parecchio. In particolare deve aver influito
notevolmente la rimozione del pesante borsone che avevo legato al portapacchi
posteriore, in una posizione non felicissima per la distribuzione dei pesi (su
strada non te ne accorgi quasi, ma fuoristrada il baricentro alto si fa
sentire). Insomma, il consiglio che mi sento di dare a chi volesse affrontare
qualche pista col Giesse è di scegliere percorsi ad anello da compiere in
giornata e… lasciare i bagagli in albergo!
Un
ultimo accorgimento è quello di rimuovere (e lasciare in compagnia dei
bagagli…) il plexiglass del cupolino: oltre a rendere difficoltosa la
visibilità di quello che accade “sotto le ruote” (cosa piuttosto fastidiosa
nel fuoristrada lento, soprattutto se si viaggia in due e quindi non ci si può
alzare in piedi sulle pedane), vibra notevolmente nei tratti di pista con fondo
sassoso oppure sul “toule ondulè” e tende a far allentare le viti di
fissaggio.
Benzina
I
distributori sono frequenti, ovunque si trova la Super e quasi ovunque la verde
a 95 ottani: nessun problema, quindi, per le moto catalizzate. Chi non volesse
proprio correre alcun rischio, comunque, può considerare l’idea di sostituire
la parte dello scarico che contiene il catalizzatore con il kit commercializzato
dalla Touratech ad “appena” 400 mila lire… Un Giessista incontrato in loco
aveva sperimentato con successo questa soluzione: a suo dire la moto tendeva
solo a scoppiettare un po’ in fase di rilascio del gas.
La
qualità della benzina marocchina, comunque, non deve essere eccelsa: in
particolari condizioni (soprattutto quando lavora sottocoppia, con un rapporto
alto inserito e con una temperatura esterna elevata) il motore tende a battere
in testa, come e più di quanto non avvenga con la verde nostrana. E’ da
notare che con la verde a 98 ottani, reperibile in Francia e Spagna, il problema
scompare del tutto.
Abbigliamento
tecnico:
Per
limitare al massimo il bagaglio, cerchiamo sempre di utilizzare un abbigliamento
motociclistico “senza eccessi”, che possa essere utilizzato anche per
passeggiare a piedi. Quindi:
-
Pantaloni modello
“combat”, specifici da moto ma dal look assolutamente “civile”.
-
Anfibi: molto più
pratici degli stivali tecnici, che, una volta scesi dalla moto, sono
immettibili ed estremamente ingombranti.
-
Giubbini di pelle
Dainese.
-
Magliette a
manica lunga: quando fa davvero troppo caldo per poter indossare il giubbino
di pelle, proteggono le braccia dalle ustioni, inevitabili dopo molte ore di
viaggio sotto il sole
-
Guanti da
motocross (protettivi ma leggeri e traspiranti).
-
Caschi: dopo
averne sperimentati molti modelli mi sono convinto in viaggio non ci sia
nulla di meglio di un buon integrale con mentoniera apribile. Noi usiamo
degli Shoei: il vecchio Duotech e il Sincrotech, entrambe ottimamente
rifiniti e funzionali, anche se un po’ rumorosi. Il Sincrotech ha il
grande vantaggio dell’apertura “monopulsante”.
-
Tute antipioggia
monopezzo di buona qualità.
Attrezzature
varie:
-
Piccola tenda a
igloo da tre posti.
-
Sacchi a pelo
leggeri: utili, oltre che per dormire in tenda, anche per garantirsi un
minimo di igiene quando ci si trova a pernottare nelle pensioni più sudice.
-
Micromaterassini
gonfiabili: per avere un minimo di comfort quando si dorme in tenda.
-
Interfono:
permette di scambiare informazioni di servizio con la passeggera, rende meno
noiose le lunghe ore d’autostrada e poi… consente di esprimere lo
stupore per lo splendore di un paesaggio o di commentare la multiforme realtà
che di srotola di fronte ai nostri occhi (anche questo fa parte del piacere
di viaggiare). Noi abbiamo il “Robot” della Osbe, che ha il vantaggio di
avere i volumi separati per pilota e passeggero e che può essere alimentato
o ricaricato tramite la presa di corrente presente sulla moto (una carica
dura circa otto ore, dopo di che una notte è sufficiente per ricaricare la
batteria). La qualità del suono è buona (si riesce a comunicare senza
grossi problemi anche a 180 km/h…), il fruscio del vento può essere
notevolmente attenuato applicando un pezzo di spugna sopra i microfoni.
L’affidabilità dei kit cuffia / microfono, però, non è delle migliori.
Il vento, le vibrazioni e gli strappi che si possono dare accidentalmente ai
fili, salendo o scendendo dalla moto, provocano frequentemente il
dissaldamento dei contatti. Durante il viaggio in Turchia dello scorso anno
si ruppero, uno dopo l’altro, entrambe i kit e dovetti provvedere a un
intervento d’emergenza, trapiantando un auricolare e un microfono
rimediati dopo mille peripezie in un mercatino di Istanbul. Quest’anno per
precauzione ho portato due kit di ricambio, oltre a un piccolo saldatore a
stagno… naturalmente non sono serviti.
-
Medicinali:
essendo ottimisti, abbiamo portato solo il solito “dissenten” (nonstante
le scarse precauzioni alimentari osservate, non è servito…).
-
Attrezzi: la
trousse di bordo della moto (che comprende il kit di riparazione dei
tubeless e le bombolette di aria compressa) integrata da un set di chiavi a
brugola e torx più “professionali”, pinze regolabili, chiave inglese,
nastro americano, bulloneria varia, un litro di Castrl GP (non è servito).
Sistemazione
del bagaglio:
-
Motovalige
laterali BMW: non sono molto capienti e costano un occhio ma, per il resto,
non presentano che pregi: si montano e smontano in un attimo, hanno degli
attacchi leggermente elastici che resistono ad ogni sollecitazione, sono
solide, assolutamente impermeabile e non alterano il baricentro della moto.
C’abbiamo sistemato tutto l’abbigliamento e i nostri effetti personali.
-
Borsone
posteriore cilindrico, fissato al portapacchi con dei semplici ragni
elastici. C’abbiamo sistemato tenda materassini, sacchi a pelo e
attrezzi).
Nota:
questa soluzione è da preferire, a mio giudizio, al bauletto, soprattutto se si
intende fare del fuoristrada. Il bauletto infatti è dotato di attacchi
inevitabilmente fragili, altera il baricentro della moto ed è, oltretutto,
orrendo…).
-
Borsa da
serbatoio: consente di tenere a portata di mano l’attrezzatura fotografica
e altri oggetti di frequente utilizzo. Noi abbiamo quello originale BMW, che
secondo me non vale assolutamente il suo prezzo: è poco capiente, ha una
tasca porta-cartina talmente piccola da risultare praticamente
inutilizzabile e, soprattutto, non è dotato di una maniglia o di una
tracolla per il trasporto. Dopo aver speso quasi mezzo milione per
acquistarlo, ne ho visti, a circa metà prezzo, di molto migliori…
Bibliografia
/ Cartografia:
-
Guida Brought
“Marocco”: approssimativa nelle descrizioni dei luoghi d’interesse
naturalistico / artistico, poco affidabile nella segnalazione delle pensioni
e dei ristoranti.
-
Carta Michelin
959 “Marocco”: un autentico must.
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